Pino Aprile

Pino Aprile

L'obiettivo maggiore e non a breve termine, per essere realisti, è riuscire a trovare, insieme, la via per dare al Sud (e, per estensione, a chiunque venga discriminato, diminuito nei suoi diritti e nella sua qualità umana) uno strumento che possa rappresentarne gli interessi; l'obiettivo immediato è cercare, insieme, come porre un argine alla Lega razzista (fa persino il tesseramento differenziato: nordici da una parte, terroni di merda dall'altra; e persone senza dignità lo accettano e si iscrivono al rango dei servi, contro la propria terra e la propria gente, dimenticando decenni di insulti, auguri di morte e cataglismi, furti di diritti e investimenti e lavoro ai meridionali).
Per questo, chi vuole, chi può, verrà il 1° dicembre all'Officina delle Culture Gelsomina Verde, a Scampia (dalle 10 la festa per la “Cassa del Mezzogiorno”; dalle 14 la nostra riunione). Non ci sono inviti: chiunque, a parte i salviniani, può intervenire, dire la sua, proporre. Non ci sono decisioni già prese, ma da prendere, però subito, dopo essersi confrontati. Non c'è l'idea di un blocco in cui far scomparire le specificità dei vari movimenti, gruppi, associazioni: ognuno resti quello che è, condividendo (se lo ritiene) l'agire comune in una stessa direzione. Significa che, localmente, possono esserci esperienze diverse, ma utili a presentarsi come punto d'incontro per quanti, delusi da altri tentativi o comunque insoddisfatti delle possibili alternative, intendano fare qualcosa per non lasciare campo libero alla Lega e affini (per esempio il Pd) o non ne voglia manco gli alleati. 

Questa intesa fra diversi avrebbe un riferimento comune: il Popolo delle Formiche; nel senso che ognuno troverebbe negli altri l'aiuto e la collaborazione necessari a far di più e meglio nel suo territorio o nel suo campo di azione (no-Tap, lotta all'inquinamento e alla morte di Stato per i veleni dell'Ilva o dei fanghi tossici ribattezzati “fertilizzanti”, contrasto alla mafia, compra-Sud, sostegno alle iniziative per creare lavoro nel Mezzogiorno, lotta per ottenere le infrastrutture negate...).

Il Popolo delle Formiche non è un partito, ma una possibilità di raccolta e armonizzazione delle forze migliori del Sud, perché non siano più slegate fra loro e peggio ancora ostili reciprocamente: nessuno si illude che da un momento all'altro (e nemmeno dopo) possano sparire quelle differenze che rendono concorrenziali e talvolta incompatibili certe esperienze e aggregazioni; ma dinanzi al nemico, pure quelli che si odiano devono far fronte unico, il contrario è (di proposito, o di fatto), aprire le porte della città a chi vuole distruggerla.
Come tanti altri, io sono pronto ad sostenere tutti coloro che si muoveranno in questa direzione; l'unica cosa che non farò è candidarmi, perché la mia scelta di campo è chiara, la mia libertà anche.

Dovremo anche trovare, insieme, il modo di saper comunicare il vero pericolo del salvinismo: in un tempo di estrema confusione, debolezza della figura dei padri, vince facile e seduce (soprattutto i giovani e quelli politicamente meno attrezzati) chi spara solo certezze, pur se immonde, sui terroni di merda colerosi che puzzano più dei cani o sugli ultimi della terra (il fenomeno dei migranti è terribilmente complesso e il modo migliore per far finta di risolverlo e favorirne la crescita è chiudere gli occhi sulle cause e sbraitare sugli effetti: fermare una nave in porto, radere al suolo una bidonville, additare come vergogna gl'immigrati che vivono nelle case e lavorano a Riace, lasciando intatti gli accampamenti di schiavi e fogne all'aperto modello Rosarno, per dire). La rozzezza salviniana è frutto di una macchina di comunicazione poderosa e sofisticata, tale da far apparire “nuovo” il politico e il partito da più lungo tempo sulla scena; “rivoluzionario” uno che è il garante dei poteri più beceri e arraffoni, dal sistema (anche di tangenti) delle “grandi opere”, solo al Nord o al Sud se si tratta della Tap, del petrolio da rubare lasciando ai terroni i veleni di scarto; il referente della grande evasione fiscale, dell'impunità dei corrotti (lui e la Lega sono stati stampella anti-carcere di Berlusconi, con decine di leggi ad personam e ora, come prima, dei condoni).

Il Sud votò compatto per il centrosinistra nel 2015, alle regionali (mai successo nella storia), contro tutto questo. E si ritrovò con una sintesi di Berlusconi e Salvini, talvolta persino in peggio, Matteo Renzi e il suo Pd da rottamare; il 4 marzo il Sud, di nuovo e in blocco (mai successo nella storia) ha votato per il M5S, ma si è ritrovato con Salvini e la Lega al governo che imperversano. 

A Sud, molti delusi non voteranno più cinquestelle o torneranno ad astenersi; esattamente come molti schifati dal Pd e da altri partiti (così dicono, pur con percentuali diverse, i vari sondaggi). È altissimo il rischio che tanti voti utili a contrastare Salvini restino a casa o addirittura vadano alla Lega, per una sorta di dispetto da marito cornuto o da ultima spiaggia, anche se ricolma di fanghi tossici e catrame.
Sono ateo e non ho mai avuto un partito, ma due regole le ho anche io: “Fa' quel che devi, accada quel che può”; però fare, tentare, provarci, e poi riprovarci, anche da solo, o in pochi, e senza mezzi, ma “Ognuno come sa, ognuno come può”. L'alternativa è accettare di perdere. Sul campo, dovremo far in modo che si selezioni e formi una classe dirigente non coloniale del Sud, che non stia zitta, se di centrosinistra, quando Letta, Renzi, Delrio, Gentiloni e altri sinistri massacrano il Mezzogiorno; che non sacrifichi, se di destra, i diritti e persino la dignità dei meridionali, perché Salvini è “il capitano” e eja eja “Prima il Nord”, ma finalmente “comandiamo noi”. 

Abbiamo bisogno di persone capaci (e ne abbiamo!), oneste (e ne abbiamo!), libere (e ce ne sono che hanno mostrato di esserlo pure nella loro azione politica in altri partiti, perché nemmeno il male è perfetto). Abbiamo bisogno di mettere insieme e far crescere i gruppi che ci hanno provato e sono rimasti tanti, divisi e piccoli. Abbiamo bisogno di intransigenza sui diritti: parità, e tutto il resto viene dopo. Abbiamo bisogno di offrire una “casa” diversa a quanti vogliono votare o essere votati, senza essere costretti ad aderire ai partiti che hanno tradito, sistematicamente, il Sud. Abbiamo bisogno, ove il Paese si dividesse, pur di non divenire equo, di aver pronta la squadra, non succube dei poteri del Nord e di quelli gregari e criminali del Sud, che possa amministrare le nostre Regioni. È troppo? È quello che serve. E da qualche parte si deve cominciare. Ma loro sono grandi e noi...? E noi cresceremo. Non è che possiamo scegliere, salvo restar colonia. Lo dico con parole non mie, ma di un amico di tante battaglie: “È tempo di lavorare con lealtà e coraggio alla formazione di una unione del Sud che riunisca le forze autenticamente meridionali attorno a un comune denominatore: la elaborazione di un progetto (e la formazione di una coscienza collettiva) che ponga lo Stato italiano di fronte a un aut aut: o reale equiparazione tra nord e sud o secessione”.

Questo non vuol dire essere contro chi si batte per l'equità in altro modo, in partiti, movimenti, gruppi diversi. Non ci stiamo a cadere in questa trappola e speriamo non ci caschino gli altri: con chiunque sia contro il Sud colonia, anche occasionalmente, anche solo su una questione e non su altre, noi cammineremo insieme, per il ttatto che ci unisce. Non si tratta di vincere sugli altri, ma per tutti.

Speriamo di essere in tanti a Scampia; per ora, le certezze sono solo due: 1) non importa quanti saremo, ma saremo quelli che faranno qualcosa insieme; 2) far qualcosa insieme, significa mettere da parte quello che divide e guardare solo a quello che unisce. E una volta trovato l'accordo su una cosa, farla; convinti, decisi. Anche ingoiando qualche rospo (a chi stesse per lamentarsi: e parli tu! Io sono pure vegetariano...).

La Lega dilaga e sarebbe ormai il primo partito italiano (ultimo sondaggio di oggi): cosa possiamo fare per arginarla al Sud? Il 1° dicembre saremo all'Officina delle Culture, a Scampia, per la presentazione della “Cassa del Mezzogiorno” (roba buona da mangiare prodotta nei terreni tolti alla camorra). Ci saranno un po' di meridionalisti, esponenti di associazioni, movimenti di ogni genere, anche politico. Forse è l'occasione per ragionarci insieme e mettersi d'accordo su cosa fare. Subito, da subito; accantonando quello che divide (l'iradiddio...) e concentrandoci sulle poche cose, o fosse anche solo una, su cui si è d'accordo. E far fronte unico all'avanzata dei predatori padani, e degli ascari pronti a vendere, ancora una volta, la propria gente e la propria terra, in cambio del privilegio di servire a tavola il padrone.

Peggio di così non lo si poteva immaginare: il partito più antimeridionale di sempre, razzista, di una destra estrema impresentabile che arriva ai neonazisti sarebbe il maggior partito italiano. 

L'orda di Salvini guadagna quasi 20 punti, rispetto alle elezioni del 4 marzo e sfonda il 36 per cento nelle intenzioni di voto, raccolte dall'istituto Paglioncelli; il M5S, dal 32,7 al 27,7, perde 5 punti (gli altri partiti non fanno storia né peso), che forse in buona parte son da rintracciare in quel 7 per cento di elettori che avevano smesso di votare, perché disgustati dalla politica ed erano tornati a farlo, contribuendo allo strepitoso successo (specie a Sud) dei 5stelle. Ora, il popolo dell'astensione o del voto nullo sta risalendo dal 30 scarso, verso il 40 per cento. Senza una valida alternativa, gli schifati (e dagli torto) non torneranno a votare e una fetta di 5stelle finirà alla Lega, specie al Nord e non sappiamo se di più o di meno al Sud. Siamo in grado di offrire una scialuppa di salvataggio a questi elettori in fuga? 

Paglioncelli avverte che bisogna guardar bene i dati, per non essere ingannati da un effetto ottico, perché la percentuale così alta della Lega è dovuta anche al minor numero di eventuali votanti; ma questo vale pure per gli altri.

La festa per la presentazione della Cassa del Mezzogiorno comincerà sabato 1° dicembre, alle 10, e finirà per l'ora di pranzo. Alla manifestazione verranno anche gli studenti di Pedagogia della Resistenza del professor Giancarlo Costabile, dall'università della Calabria, e gruppi di attivisti culturali, politici, antimafia, di iniziative economiche dal basso o sociali. Un po' di tutto e da ogni regione del Sud. 

Finita la festa, gli studenti e altri se ne andranno per i fatti loro e noi, chi vuole, potremo fermarci per ragionare insieme. Mi metterò a disposizione di quanti vorranno impegnarsi per porre un freno allo schifo del Sud salviniano. Ci ascolteremo a vicenda e cercheremo il modo di aiutare tutti ognuno, mettendo da parte quanto può dividerci e dissuadere dall'agire comune. Meglio poco ma insieme che aspettare il giorno in cui tutti saremmo d'accordo su tutto. Cioè mai.

So che Ciro Corona può consigliare come decentemente dormire, mangiare, lì intorno, a prezzi popolari. Se qualcuno fosse interessato, gli chiederemo di darci indicazioni. Lo dico, perché so già che alcuni progettano di restare per il fine settimana a Napoli, visto che, dal giorno dopo, il 2, fra le altre cose, quella meraviglia del Museo delle ferrovie di Pietrarsa ospiterà il mercatino di Natale e presepi.

Embé, ci sono rimasti male, erano già pronti per la conta dei dobloni (i soldi, «il finanziamento», come ha confermato l’ex presidente leghista della Lombardia, Roberto Maroni, sono l’unico scopo di tutta la politica e le formulette fumogene escogitate in decenni di delirio razzista padano: federalismo, Autonomia, regionalismo differenziato, supercazzola con scappellamernto a Nord…), ma li abbiamo lasciati con il sacco vuoto: il Consiglio dei ministri dello scorso 22 ottobre doveva varare l’Autonomia del Veneto, per il saccheggio con destrezza, grazie all’inclusione, nel testo dell’accordo Stato-Regione, dell’aggancio alla ricchezza del territorio dell’entità delle risorse da trasferire dall’amministrazione centrale a quella regionale. Insomma, per assicurare gli stessi servizi a tutti i cittadini italiani (scuola, sanità, trasporti…), ai più ricchi dovrebbero essere dati più soldi e possibilità, in proporzione al loro pil, e ai più poveri, poco di quello che resta, ovvero niente. E tutto sommato, se muoiono prima, ‘sti terroni, come già sta accadendo da qualche anno, si realizza la lotta alla povertà, no? Soluzione leghista e nordica del problema, ma non nuova: ci fu un giovane lord che propose lo sterminio dei poveri, per eliminare la povertà; e Jonathan Swift suggerì che gli affamati mangiassero i bambini per sconfiggere la fame e la sovrappopolazione. In Italia siamo sulla buona strada: dal 2013 la popolazione al Sud è in calo, come successo solo altre due volte in un secolo e mezzo “unitario”: con le stragi piemontesi quando invasero il Regno delle Due Sicilie (genocidio documentato dagli atti ministeriali e parlamentari e dagli analisti del primo censimento, non riportato nei libri storia) e con l’epidemia di “spagnola” nel primo dopoguerra.

Il trucco delle risorse proporzionate non al costo dei servizi, ma al reddito di chi li riceve (bisogna averne pelo sullo stomaco…) era ben nascosto nel testo veneto approvato dal governo Gentiloni e che stava per passare con il governo giallo-verde. A ispirare Zaia e complici in questo piano, un degno allievo del professor Gianfranco Miglio, il razzista e ideologo della Lega, Luca Antonini, docente a Padova, poi eletto alla Corte costituzionale, in modo che, in caso di ricorso alla Consulta contro una tale porcata, possa essere giudice di se stesso.

La grancassa leghista aveva annunciato la festa per il 22 ottobre, l’anniversario esatto del costoso e inutile referendum lombardo-veneto di un anno fa, per il trasferimento di 23 competenze dallo Stato centrale alle Regioni (bastava una letterina al governo, come ha fatto l’Emilia Romagna; in Lombardia buttarono anche una ventina di milioni in tablet monouso per voto online: ti credo che i soldi non bastano mai!). Erika Stefani, ministra leghista e veneta all’Autonomia del Veneto (sulla carta, sarebbe ministra italiana alle Regioni, ma lei provvide a fugare ogni dubbio in proposito, già all’uscita dal Quirinale, dopo il giuramento dinanzi al presidente Mattarella) aveva garantito che era tutt’apposto, Zaia aveva fatto tirar fuori le bottiglie di prosecco, Salvini aveva dichiarato che era già con la penna in mano per firmare. Come se al governo ci fossero solo loro.

Ma fra i parlamentari 5stelle eletti a Sud, qualcuno ha fatto notare che l’Autonomia non può partire dall’assegnazione di fondi da rapina (i 9/10 del gettito fiscale) alle Regioni già più ricche e ipersovvenzionate dalla cassa comune (lasciando a secco le più povere), per finanziare servizi che non si sa quanto costino e la cui definizione (Livelli essenziali delle prestazioni, Lep) viene accuratamente evitata da 17 anni, perché a lorsignori non conviene. La ministra per il Sud, Barbara Lezzi, lo ha posto come condizione: prima i Lep. Decine di docenti univeritari, specie di economia e storia, dinanzi alla furia predatoria lombardo-veneta, hanno lanciato l’appello “No alla secessione dei ricchi” (sottoscritto da 13mila persone) ai presidenti della Repubblica e delle Camere, perché blocchino una follia che disgregherebbe il Paese. Anche una mezza dozzina di senatori e deputati 5stelle ha firmato l’appello, e così dirigenti nazionali e locali del Pd, del centrodestra, la Cgil pugliese e la segretaria nazionale del sindacato, Susanna Camusso, scrittori, giornalisti.

Ci sono stati incontri al Senato, a Montecitorio, convegni e manifestazioni ovunque. E si è mosso “Il popolo delle formiche”, con azioni di volantinaggio nelle maggiori città del Sud e dinanzi al Parlamento, dove il 22 è stato anche esposto uno striscione di una ventina di metri che non lasciava dubbi: “Lega ladrona, il Sud non perdona”. Giusto per restituire correttamente i titoli (si derubano pure da soli, 49 milioni, e promuovono ladri e bancarottieri) a chi li merita.

L’Autonomia è diventata un macigno sulla scellerata strada comune Lega-M5S; ma i cinquestelle hanno capito, pare, che assecondando l’impresentabile alleato anche su questo, il loro bacino di voti a Sud, base del Movimento, già ampiamente evaporato dopo l’accordo con i razzisti, si ridurrebbe a una pozzanghera.

E il popolo delle formiche sta creando formicai in tutto il Sud, per impedire lo scempio finale ai predatori padani (vogliono tenersi tutte le “loro” tasse; ma già da quel “loro” c’è tanto da tagliare e riattribuire, pur senza toccare ancora l’argomento dell’evasione fiscale: il Nord da solo evade quasi il doppio del resto d’Italia e dalla sola Lombardia viene metà delle richieste di “ripulitura” dei capitali nascosti in paradisi fiscali): il testo dell’appello “No alla secessione dei ricchi” è stato consegnato ai prefetti di diverse città da “formiche locali”.

I predatori padani cominciano a rendersi conto che la pacchia è finita. Zaia dichiara la sua delusione per la battuta d’arresto e spera che si tratti di un rinvio di poche settimane (o non ha capito o finge di non aver capito); Salvini evita l’argomento (c’è stato qualche scintilla con Di Maio su questo o non ce n’è stato bisogno, per suggerirgli di tenersene alla larga?); Maroni va al sodo: se il finanziamento dei compiti da trasferire alle Regioni fosse fatto tenendo conto del loro vero costo, la cosa non sarebbe più interessante, per il Nord. L’Autonomia è solo una scusa per svuotare la cassa, delle strombazzate “competenze”, non gliene frega niente. Lo dice chiaro: «È importante non tanto per le materie contenute ma per i principi di finanziamento delle materie». «Il costo storico, quello che per Erika Stefani sarà l’unico criterio di finanziamento e questo un pò mi preoccupa…, la compartecipazione al gettito erariale e i costi standard. Senza questi altri due criteri il vantaggio è molto modesto».

Altro che efficienza, decentramento e patacche varie: l’unica cosa che vogliono decentrare è la cassa. Mirano alla secessione? Ok, ma se non intendono restare in questa finzione di Paese, ci si siede, si fanno i conti e ognuno via con il suo. Storico. Fughe con il malloppo ve le scordate.

Il Veneto e la Lombardia, e di seguito l'Emilia Romagna, vogliono trattenere il 90% delle tasse regionali, sottraendole allo Stato. Altri 35 miliardi di euro l'anno destinati a garantire servizi all'intero Paese, ma che sarebbero utilizzati per fare più ricche regioni già ricche, impoverendo ancora di più le regioni del Sud che avranno ancora meno trasporti, sanità, asili, lavoro. 

Il governo prevede di firmare tale legge con il Veneto il 22 ottobre con un accordo "privato" tra il ministro leghista Stefani e il governatore leghista Zaia, nel silenzio assenso del governo e dei partiti.

È LA “SECESSIONE DEI RICCHI” 

Lo scrivono decine di docenti universitari in un appello controfirmato da 13mila cittadini e indirizzato al presidente della Repubblica e delle Camere. La Regione Veneto propone di calcolare le risorse da ricevere, tenendo conto non solo dei dei servizi da fornire (scuola, sanità, eccetera), ma anche del gettito fiscale, cioè della ricchezza dei territori. 

MA QUANTO COSTANO I DIRITTI?

Dal 2000, nessun Governo ha trovato il tempo di definire i LEP, i livelli essenziali delle prestazioni sociali e civili da garantire a tutti i cittadini italiani, ovunque residenti. E se non si sa “quanto costano” i LEP, come si può stabilire l'entità delle risorse da assegnare alle Regioni per garantirne il godimento ai cittadini? 

DI CHI SONO “LE TASSE DEL NORD”?

Si tace che fra le entrate fiscali che le Regioni del Nord dicono “proprie”, ci sono quelle di risorse (petrolio, energia, altro) prodotte al Sud e contate a Nord, solo perché lì ha sede legale l'azienda che le sfrutta. Quelle tasse dovrebbero invece restare nelle Regioni in cui maturano.

I CITTADINI CHIEDONO AI PARLAMENTARI DI TUTTI GLI SCHIERAMENTI

Che nessun trasferimento di poteri e risorse alle Regioni sia attivato finché non saranno definiti i “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale" (art. 117, lettera m della Costituzione); 

che il trasferimento di risorse sulle materie assegnate alle Regioni sia ancorato esclusivamente a oggettivi fabbisogni dei territori, escludendo ogni riferimento a indicatori di ricchezza;

che le entrate fiscali restino alle Regioni in cui le risorse sono sfruttate.

Dove avrebbe fallito un popolo di giganti, riuscì un popolo di formiche. Cercavo una soluzione: come fare, contro poteri così grandi e forti che opprimono il Mezzogiorno, derubandolo delle sue risorse, anche umane, negandogli parità, infrastrutture e diritti e relegandolo al ruolo di colonia da un secolo e mezzo? Non abbiamo i loro giornali, non le loro tv, non le loro infrastrutture, fatte pure, e a volte solo, con soldi, braccia e sangue nostri. Abbiamo una classe dirigente in larga parte complice e succube, catena di trasmissione locale di volontà, interessi e poteri ostili e predatori; i pochi e ammirevoli che sfuggono alla sudditanza sono avversati in ogni modo. Persino uccisi, talvolta, da criminali che di quella oppressione coloniale sono il braccio armato. E ora, con la truffa del regionalismo differenziato, le Regioni che con lo Stato italiano fatto a mano armata si sono arricchite, vogliono tenersi tutto il malloppo (i nove decimi delle entrate fiscali, anche di quanto è prodotto o consumato a Sud, ma da aziende, pure pubbliche, domiciliate al Nord). Un'ultima razzia, che equivale a secessione.

Contrastare tutto questo si può pure, e molti lo fanno, ma vincere? 

«Mi chiederai come ha fatto questa gente a scavare ed allineare tanta pietra. Io penso che la cosa avrebbe spaventato un popolo di giganti. Questa è la Murgia più aspra e più sassosa; per ridurla a coltivazione facendo le terrazze, non ci voleva meno della laboriosità di un popolo di formiche». Lo scriveva Tommaso Fiore, pugliese, a Piero Gobetti, coraggioso intellettuale torinese che morirà giovanissimo per le bastonature dei fascisti. Fu lui a convincere Fiore a scrivere di Sud e nacque un libro immortale: “Un popolo di formiche”.

Ed è quella la soluzione: l'enormità della dimensione del tuo nemico è il suo lato debole. Non saranno i cani, gli avvoltoi, i leoni ad abbattere un elefante; ma contro nugoli di formiche, nulla può il pachiderma: gli insetti sono troppo al di sotto delle sue armi, sproporzionate per eccesso rispetto al pericolo da contrastare. Le formiche possono invadere il corpo del gigante, soffocarlo, rosicchiare dall'interno le sue carni, le sue mucose, il suo cuore. 

Nello scontro fra rinoceronte ed elefante non sai chi vince, fra formiche e uno di loro, sì.

La Murgia più aspra e più sassosa fu il solo luogo dell'impero in cui fallì il modello economico romano, la villa, perché, per l'aridità del terreno, l'ampiezza della tenuta agricola necessaria a renderla redditizia era tale, da non consentire di poter raggiungere in giornata i campi, per lavorarli. I romani chiamavano la mia regione “Deserta Apuliae”, deserti della Puglia, al plurale. Eppure, un popolo di irriducibili contadini e braccianti che non accettarono l'idea che non si potesse farlo, spietrò quei deserti, rimuovendone i sassi, frantumando i macigni, uno strato dopo l'altro, sino a raggiungere la terra rossa di ferro e manganese e a farne l'immenso giardino di orti e ulivi (60 milioni, la più grande foresta artificiale piantata dagli uomini in una regione) che è oggi.

Di quegli irriducibili sappiamo i nomi, perché sono i nostri (nonno Peppino e suo nonno Peppino e suo nonno..., nonna Maria e sua nonna..,), ma le loro storie si perdono, si confondono e si riassumono nell'incredibile impresa che era sembrata impossibile a chi pure costruì il più grande impero dell'antichità.

Il popolo di formiche è tornato: solo l'essere vivente che pesa di più, sul pianeta, con la totalià dei suoi esemplari. Sorgono formicai ovunque al Sud, con un progetto in comune: la pacchia coloniale è finita. Su questa pagina ne seguiremo l'opera. 

Prepotenti e presuntuosi si paragonano a fiere nobili: gli stemmi dei re sono pieni di leoni rampanti, lupi. Trascurando che si tratta di una specie di spazzini: vanno a caccia in gruppo (ma che coraggio!), contro animali con poca o nessuna difesa: gazzelle, antilopi... Catturano solo i più lenti del branco, quelli già malati, feriti. E a volte, nemmeno ci riescono. 

Chi penserebbe mai di mettere paura ai nemici presentandosi terribile come una formica? Beh, un popolo ci fu che la scelse come suo animale (oddio: insetto) eponimo (vuol dire: in cui ci si riconosce, da cui si prende il nome): i Mirmidoni, che, in greco, significa proprio formiche. E fu il popolo che dette al mondo il più grande guerriero di tutti i tempi, il loro condottiero: Achille, che solo l'intervento degli dei dell'Olimpo riuscì infine a fermare, sotto le mura di Troia.

Il primo forrmicaio si chiama 22 ottobre, data che potrebbe essere la fine di qualcosa e l'inizio di qualcos'altro. Ma chi crede di sapere già di cosa, come va a finire, potrebbe avere qualche sorpresa.

(nelle foto: Roberto D'Alessandro e Giovanni Palmulli, due dei meridionalisti che hanno fatto volantinaggio dinanzi al Parlamento, ieri e oggi, spiegando ai passanti la truffa del regionalismo differenziato che il governo varerebbe il 22 ottobre, se non li fermiamo)