Popolo delle Formiche
Dove avrebbe fallito un popolo di giganti, riuscì un popolo di formiche | di Pino Aprile

Cercavo una soluzione: come fare, contro poteri così grandi e forti che opprimono il Mezzogiorno derubandolo delle sue risorse, anche umane, negandogli parità, infrastrutture e diritti e relegandolo al ruolo di colonia da un secolo e mezzo? 

Non abbiamo i loro giornali, non le loro tv, non le loro infrastrutture, fatte pure, e a volte solo, con soldi, bracci e sangue nostri. Abbiamo una classe dirigente in larga parte complice succube, catena di trasmissione locale di volontà, interessi e poteri nostri nemici; e i pochi e ammirevoli che sfuggono alla sudditanza sono avversati in ogni modo. Persino uccisi, talvolta, da criminali che di quella oppressione coloniale sono il braccio armato.  Contrastare tutto questo si può pure, e molti lo fanno, ma vincere?  

«Mi chiederai come ha fatto questa gente a scavare ed allineare tanta pietra. Io penso che la cosa avrebbe spaventato un popolo di giganti. Questa è la Murgia più aspra e più sassosa; per ridurla a coltivazione facendo le terrazze (…) non ci voleva meno della laboriosità di un popolo di formiche». Lo scriveva Tommaso Fiore, pugliese, a Piero Gobetti, coraggioso intellettuale torinese che morirà giovanissimo per le bastonature dei fascisti. Fu lui a convincere Fiore a scrivere di Sud e nacque “Un popolo di formiche”, un libro immortale. Ed è quella la soluzione: l'enormità della dimensione del tuo nemico è il suo lato debole. Non saranno i cani, gli avvoltoi, i leoni ad abbattere un elefante; ma contro nugoli di formiche, nulla può il pachiderma: gli insetti sotto troppo al di sotto delle sue armi, sproporzionate per eccesso rispetto al pericolo da contrastare. Le formiche possono invadere il corpo del gigante, soffocarlo, rosicchiare le sue carni, le sue mucose, il suo cuore dall'interno.  Nello scontro fra rinoceronte ed elefante non sai chi vince, fra formiche e uno di loro, sì. La Murgia più aspra e più sassosa fu il solo luogo dell'impero in cui fallì il modello economico romano, la villa, perché, per l'aridità del terreno, l'ampiezza della tenuta agricola necessaria a renderla redditizia era tale, da non consentire di poter raggiungere in giornata i campi, per lavorarli. I romani chiamavano la mia regione “Deserta Apuliae”, deserti della Puglia, al plurale. Eppure, un popolo di irriducibili contadini e braccianti che non accettarono l'idea che non si potesse farlo, spietrò quei deserti, rimuovendone i sassi, uno strsto dopo l'altro, sino a raggiungere la terra rossa di ferro e manganese e a farne l'immenso giardino di orti e ulivi (60 milioni, la più grande foresta artificiale piantata degli uomini in una regione) che è oggi. Di quegli irriducibili possiamo intuire i nomi, perché sono i nostri (nonno Peppino, nonna Maria, zio Vito...), ma le loro storie si perdono, si confondono e si riassumono nell'incredibile impresa che era sembrata impossibile a chi pure costruì il più grande impero dell'antichità. 

Il popolo di formiche è tornato. Sorgono formicai ovunque al Sud, con un progetto in comune: la pacchia coloniale è finita. Su questa pagina ne seguiremo l'opera.  Prepotenti e presuntuosi si paragonano a fiere nobili: gli stemmi dei re sono pieni di leoni rampanti, lupi. Trascurando che si tratta di una specie di spazzini: vanno a caccia in gruppo (ma che coraggio!), contro animali con poca o nessuna difesa: gazzelle, antilopi... Catturano solo i più lenti del branco, quelli già malati, feriti. E a volte, nemmeno ci riescono.  Chi penserebbe mai di mettere paura ai nemici presentandosi terribile come una formica? Beh, un popolo ci fu che scelse la formica come suo animale (oddio: insetto) eponimo (vuol dire: in cui ci si riconosce, da cui si prende il nome): i Mirmidoni, che, in greco, significa proprio formica. E fu quel popolo che dette al mondo il più grande guerriero di tutti i tempi, il loro condottiero: Achille, che solo l'intervento degli dei dell'Olimpo riuscì infine a fermare, sotto le mura di Troia. Il primo formicaio si chiama 22 ottobre, data che potrebbe essere la fine di qualcosa e l'inizio di qualcos'altro. Ma chi crede di sapere già di cosa, come va a finire, potrebbe avere qualche sorpresa.